1.Perché , secondo Lei, negli ultimi anni, si sente sempre più parlare del problema dell’infertilità?
Innanzitutto perché il problema è in costante aumento coinvolgendo circa 150 milioni di coppie nel mondo, il 15% delle coppie in età fertile nei paesi occidentali vale a dire una coppia su 6 e quindi in Italia circa 60.000 nuove coppie all’anno. In secondo luogo perché finalmente oggi l’infertilità non è più vista come un tabù o una colpa e quindi le più coppie si rivolgono più facilmente all’aiuto dei Centri di sterilità che nel frattempo sono diventati sempre più specializzati e diffusi.
2.Quali sono le cause più comuni di sterilità, sia nell’uomo che nella donna?
I problemi sono equamente suddivisi con una leggera prevalenza della componente maschile. Basti pensare che la qualità del liquido seminale ha subito un progressivo peggioramento negli ultimi cinquantanni con un picco negli ultimi venti. Le cause sono da ascriversi a fattori ambientali quali inquinanti atmosferici, additivi alimentari, agenti tossici, radiazioni ed onde elettromagnetiche o ad abitudini voluttuarie quali fumo, alcool, droghe, abuso di farmaci oppure a stile di vita con scarsa attività fisica e molto stress. Esistono poi cause cliniche quali infezioni che causano cistiti, prostatiti o epididimiti oppure patologie del testicolo quali varicocele, torsioni, testicolo ritenuto, tumori o problemi genetici quali la sindrome di Klinefelter con il sovrannumero di un cromosoma X o microdelezioni del cromosoma Y. Le cause femminili sono da attribuire in buona parte all’età a cui si cerca il primo figlio, a patologie infiammatorie come infezioni o endometriosi che posso danneggiare le tube o creare un ambiente sfavorevole all’impianto dell’embrione, a disturbi ormonali che possono bloccare l’ovulazione o squilibri metabolici con alterazione del peso o della glicemia. Ci sono poi anomalie dell’utero come fibromi, polipi o malformazioni e cause immunologiche con presenza di anticorpi che bloccano gli spermatozoi o la crescita dell’embrione.
3.Quali sono le principali tecniche applicate per affrontare la sterilità e qual è la loro percentuale di esito favorevole?
La regola fondamentale è che i trattamenti siano “personalizzati” rispettando la gradualità delle tecniche dalle piû semplici indicate per coppie giovani o con lievi problemi a quelle più complesse per coppie attempate o con diagnosi più severe o che abbiano già fallito le tecniche meno invasive. I primi trattamenti comprendono il monitoraggio dell’ovulazione per rapporti mirati o l’inseminazione intrauterina. Richiedono una moderata stimolazione ormonale, ecografie transvaginali ed eventuali dosaggi ormonali su sangue o urine per monitorare l’ovulazione e rispettivamente indicare il periodo più fertile in cui avere rapporti o preparare ed iniettare nelle tube il liquido seminale. Hanno percentuali di successo variabili tra il 15 e il 25% per ciclo. Le tecniche più complesse sono la Fivet o la Icsi che prevedono una stimolazione ormonale che provochi una maggior risposta delle ovaie, il monitoraggio ecografico ed ematico della crescita dei follicoli e il prelievo degli ovociti in sala operatoria mediante un piccolo intervento di pochi minuti in anestesia tramite un sottile ago per via transvaginale ecoguidata. Le uova recuperate vengono fecondate con gli spermatozoi in vitro (Fivet) o nei casi di sterilità maschile più grave viene microiniettato con un ago sottilissimo un singolo spermatozoo in ogni ovocita (Icsi). Dopo 2-3 giorni avviene il transfer in utero degli embrioni mediante un soffice catetere indolore. Le percentuali di successo sono mediamente del 30% ma possono variare moltissimo in relazione all’età della paziente e delle cause di infertilità.
4.Quanto incide il “fattore età” per la buona riuscita di una tecnica di fecondazione?
Il fattore età incide moltissimo soprattutto per quanto riguarda la donna che rispetto all’uomo è svantaggiata dal fatto di non essere in grado, nel corso della vita, di produrre nuove uova e dunque destinata ad un impoverimento e ad un invecchiamento progressivo del DNA ovocitario. La tendenza della donna a concepire più tardivamente a causa del nuovo ruolo sociale che la induce ad anteporre gli studi e la carriera alla maternità ha portato in Italia all’età media per il primo figlio di 30 anni contro i 25 di venti anni fa. Ciò si correla negativamente con la capacità riproduttiva in quanto il picco massimo della fertilità femminile si verifica tra i 20 e i 24 anni, un primo declino avviene tra i 30 e 35 anni e una vertiginoso calo superati i 40 anni. Anche nell’uomo con il passare degli anni si osserva una progressiva riduzione della qualità dello sperma ma l’incidenza dell’età è meno marcata perché il testicolo è in grado di rinnovare tutti gli spermazoi ogni 90 giorni circa. Dunque se una è coppia giovane e dopo un anno non è riuscita a concepire può serenamente attendere ancora qualche mese ma se l’età della donna supera i 35 anni dopo 12 mesi di ricerca prole deve consultare tempestivamente uno specialista in quanto con il passare degli anni le percentuali di successo si abbassano anche ricorrendo alle tecniche di procreazione assistita. Un messaggio fuorviante è spesso rappresentato da quelle donne famose che in tarda età ricorrono all’ovodonazione illudendo l’opinione pubblica di aver ottenuto una gravidanza propria.
5.Come è cambiato negli ultimi anni l’approccio dei pazienti con la sua disciplina?
Le coppie al giorno d’oggi si sentono meno sole, consapevoli che il problema della sterilità è molto diffuso e non lo vivono più come un senso di colpa o una vergogna. E’ cambiato molto l’atteggiamento dell’uomo: l’orgoglio maschile che portava fino a poco tempo fa a sottoporre solo la donna ad esami e terapie ha lasciato spazio alla consapevolezza che una buona parte delle cause è loro, pertanto sono sempre più numerosi gli uomini che decidono di sottoporsi a visite e controlli ancor prima delle consorti. Inoltre le coppie sono ormai informatissime: grazie all’esperienza di amici o parenti o tramite internet si documentano e conoscono molto su esami, tecniche, cure e risultati.
6.Come la legge 40 del 2004 ha cambiato l’approccio alle tecniche di fecondazione assistita da parte della coppia?
La legge 40 del 2004 ha portato indubbiamente dei cambiamenti: chi per necessità deve ricorrere ad una terapia eterologa con seme di donatore o ovodonazione è costretto a migrare all’estero in quanto queste terapie sono vietate in Italia. Per quanto riguarda la terapia di fecondazione assistita (Fivet/Icsi) il limite massimo di fertilizzazione di 3 ovociti ha spinto molte coppie a migrare all’estero per evitare di eseguire, in caso di insuccesso, trattamenti ripetuti. La modifica della legge avvenuta nel 2009 consente ora al medico con libero arbitrio di decidere quante uova fecondare in relazione al quadro clinico della coppia con la possibilità dunque di congelare embrioni sovrannumerari riequilibrando in parte le terapie dell’estero.
7.Secondo la sua esperienza, quante e quali tipologie di coppie si rivolgono all’estero per sottoporsi a cure e pratiche vietate in Italia?
Per la mia esperienza, lavorando presso la Clinica ProCrea di Lugano, l’85% delle coppie proviene dall’Italia. Circa il 30% di queste si sottopone a terapie eterologhe non consentite in Italia mentre il 70% si reca presso il nostro Centro perché ritiene che recandosi all’estero le terapie siano più efficaci in termini di stimolazione ormonale/embrioni trasferiti e crioconservati e dunque in termini di percentuali di gravidanza per ciclo.